Carmelacromìa!

I colori di Osteria da Carmela posseggono un richiamo sacro(santo) ai colori della Madonna del Carmelo, detta Madonna Bruna, con un significato preciso:
Arancio solare aureole dorate e il fondo dell'icona = santità e sacralità
Pompeiano colore rosso della tunica sotto il manto = amore
Tufo scuro tunica color pelle di pecora del bambino e pelle della Madonna = agnello di Dio, fratellanza
Verdemare manto della Madonna = fertilità
Ogni colore è un’ispirazione, una storia, una tendenza e persino, scavando nella storia di Napoli, un’origine di un piatto e accompagnerà sempre le nostre (e le vostre) parole.
E con queste cromatiche premesse, ecco a voi...


Tracce di romanità, grecità e oriente nella cucina partenopea: la carne

Tracce di romanità, grecità e oriente nella cucina partenopea: la carne

Se siamo quel che mangiamo, allora nel nostro cibo c’è tanta di quella storia che non possiamo neanche immaginare. La scorsa volta abbiamo raccontato della colatura di alci e di che tipo di pesce mangiavano gli antichi abitanti di Pompei e delle altre città campane. Oggi vi racconteremo delle abitudini culinarie legate al consumo di carne in epoca classica.

Nell’antica Roma il consumo di carne era un privilegio dei ceti più abbienti. Tra le carni più apprezzate, prima e dopo l’Impero, c’era sicuramente quella di maiale, da sempre una carne succulenta e versatile, ottima per ogni tipo di preparazione (perfetta cioè per sughi, arrosti, stufati o lessa) oppure  per essere conservata a lungo sotto sale o affumicata, insomma adatta per essere consumata in un mondo dove ancora non esistevano i frigoriferi.

Una delle carni di maiale più rinomata era certamente quella Lucanica, ovvero proveniente dall’odierna Basilicata, nei cui boschi pascolavano grandi quantità di suini. Non a caso dal latino, alcuni dialetti  hanno tratto il termine “luganiga” o “luganega”, termine che indica una salsiccia tipica del Nord Italia.

La carne dei bovini era proibita: i buoi erano animali vocati al lavoro per cui venivano macellati solo una volta che avevano raggiunto l’età avanzata, le cui viscere migliori venivano usate dagli Auspici, mentre le altre erano vendute al pubblico. Solo con in età imperiale fu introdotto l’uso della carne bovina, ma sempre limitato. I romani preferivano sempre capretti, agnelli e porcellini, pollame di ogni genere e soprattutto la cacciagione. Tra le carni più apprezzata la lepre, ma quella più pregiata quella di cinghiale.

Una curiosa pratica patrizia era il consumo di carne – per così dire – esotica. Sulle loro tavole non era difficile trovare lingue di fenicottero, cicogne, gru, fagiani e pavoni. Seneca e Plinio hanno raccontato che Marco Gavio Apicio, oltre a nutrire di carne di schiavi le sue murene, avesse una predilezione per i pappagalli arrosto, utero di scrofa ripieno e ghiri farciti. Al più grande “scialacquatore di tutti tempi” (così lo definiva Plinio il Vecchio), si dovrebbe l’invenzione del primo foie gras, dato che questo istrionico personaggio ingrassava il fegato delle oche facendo mangiare loro i fichi. E grazie proprio alla sua fama di imperituro spendaccione dobbiamo le prime testimonianze rispetto alla cucina dell’antica Roma: suo l’importante contributo nella redazione del primo ricettario di cui si ha memoria, ovvero il Re Coquinaria, scritto dal cuoco Clelio, sulle indicazioni di Apicio intorno al 230 a.C.

Disposti su un triclinium, senza forchetta e coltello, ma solo mediante l’uso delle dita, anche le famiglie gentilizie pompeiane non si facevano mancare la carne durante i banchetti, e soprattutto non rinunciavano al consumo di carne, come detto, esotica. È recente la notizia del ritrovamento di una zampa di Giraffa (La Repubblica) tra i resti delle cloache della Antica Pompei. Gli archeologi sono sempre più attenti all’analisi del cibo consumato dagli antichi pompeiani, dato che il cibo è da sempre la cartina tornasole dei rapporti sociali che si instauravano tra le diverse classi sociali.  Il consumo di carne nella cucina pompeiana, in questo senso, era dunque una perfetta riproduzione dello stile romano appartenente alle classi più benestanti. Come per gli acquari che le famiglie gentilizie pompeiane avevano in casa, non era difficile trovare anche gabbie e luoghi adibiti all’allevamento di erbivori e uccelli selvatici (spesso anche africani). Tra le curiosità legate al mondo culinario pompeiano, vi è il ritrovamento dei metodi di allevamento dei ghiri, della cui carne sembra che i pompeiani e tutti gli abitanti sotto l’egida di Roma fossero davvero molto ghiotti,  tanto che veniva allevato in recipienti di terracotta per farlo ingrassare, per poi cucinarlo e farcirlo con polpette di maiale, pepe e laser (un spezia che ormai non esiste più) .

Insomma quel che è chiaro è che i romani non disdegnavano alcun tipo di carne, che fosse di pennuti esotici, di mare o di terra. In Osteria da Carmela non troverete la carne di struzzo, ma vi consigliamo di passare – appena possibile – a trovarci per assaggiare i nostri secondi di carne succulenti :).


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