Carmelacromìa!

I colori di Osteria da Carmela posseggono un richiamo sacro(santo) ai colori della Madonna del Carmelo, detta Madonna Bruna, con un significato preciso:
Arancio solare aureole dorate e il fondo dell'icona = santità e sacralità
Pompeiano colore rosso della tunica sotto il manto = amore
Tufo scuro tunica color pelle di pecora del bambino e pelle della Madonna = agnello di Dio, fratellanza
Verdemare manto della Madonna = fertilità
Ogni colore è un’ispirazione, una storia, una tendenza e persino, scavando nella storia di Napoli, un’origine di un piatto e accompagnerà sempre le nostre (e le vostre) parole.
E con queste cromatiche premesse, ecco a voi...


Carmela, la carta vincente? Ma quella dei vini!

osteria da carmela

Tra i vari mestieri che con estrema condivisibilità si possono annoverare tra i più belli del mondo, quello di compilatore di Carte dei Vini si aggiudica senza dubbio un posto tra i più soleggiati, all’ombra di qualsiasi dubbio.

La possibilità di mettere insieme tanti sogni palatali, secondo un proprio paradigma cresciuto a degustazioni e deglutizioni, e per di più a spese del ristoratore (che però deve condividerne il gaudio) è, come recitava un vecchio claim (a cui si poteva dar… credito), senza prezzo.

Se poi il ristoratore è anche un appassionato di qualità a tutto tondo, poco importa se si parli di ristorazione gourmet, pizzeria o osteria: il piacere dell’abbinamento e dello storytelling relativo è identico, perché non dipende né dai costi, né dalla complessità gustativa. Dev’essere piacere, appunto. Anche perché, ragionandoci su, parlare di complessità e ignorare la perfezione di alcune semplici intuizioni della cucina tradizionale (ancorché povera) napoletana sarebbe un’eresia degna di Fra’ Dolcino (che tra l’altro finì al rogo grazie al poco clemente Papa Clemente V).

Infine, se ci pensiamo, in un’osteria, la cui accezione moderna non travalica certo la propria origine di Locanda 2.0 con annessa postazione post-prandiale, ma di certo suprema dispensatrice del vino da mescita, che era la prima cosa da offrire la viandante… Del resto se Oste deriva da Hospes, ospite, un motivo pur ci sarà…

Un po’ in Osteria da Carmela questo concetto si è evoluto nei tempi (e parliamo di un esercizio in forze dal 1967) fino a poter collezionare, rinnovandole, un numero veramente consistente di etichette (oltre 200 scelte, tra le varie tipologie) soprattutto considerando quanto il mercato attuale è in grado di sfornare.

Questo perché il paradigma, di cui all’inizio, non è fondato sulla territorialità a tutti i costi (pur rimanendo un princìpio generale irrinunciabile), ma si avvale di carezze sparse a tutto il mondo enologico che si avvicini al meridione in qualche modo. Un meridione non geografico tout court, ma piuttosto mentale e gustativo, fatto di sensibilità e reazione al calore, legato a volte ai toni sulfurei per origine vulcanica (e potremmo parlare anche di Veneto), a volte alla freschezza, grazie all’acidità di tantissimi vini di moderno progetto nati da vendemmie soleggiate ma precoci, a volte alcolici ma mai sciropposi come solo l’Irpinia (come poche altre regioni) sa riprodurre, a volte brezzati di salinità marina, ma mitigati da un pedoclima felicemente influenzante, infine a volte minerali ma con la percezione di quanto intorno la natura sia sempre presente con i suoi profumi.

E a ogni rinnovo della carta, la sfida a rinnovare questi parametri scoprendo chicche anche sicule o toscane o pugliesi, per esempi, da accostare ai campani, diventa un modo per mantenere alta l’attenzione a quel panorama infinito che è la ricchezza della biodiversità italiana, cui – volenti o nolenti – tutto il globo enologico deve aver a che fare.

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