Carmelacromìa!

I colori di Osteria da Carmela posseggono un richiamo sacro(santo) ai colori della Madonna del Carmelo, detta Madonna Bruna, con un significato preciso:
Arancio solare aureole dorate e il fondo dell'icona = santità e sacralità
Pompeiano colore rosso della tunica sotto il manto = amore
Tufo scuro tunica color pelle di pecora del bambino e pelle della Madonna = agnello di Dio, fratellanza
Verdemare manto della Madonna = fertilità
Ogni colore è un’ispirazione, una storia, una tendenza e persino, scavando nella storia di Napoli, un’origine di un piatto e accompagnerà sempre le nostre (e le vostre) parole.
E con queste cromatiche premesse, ecco a voi...


Il Gran Tour dei “mangia maccheroni”

le grand tour

Le immagini epiche che raffigurano Totò e Alberto Sordi mentre mangiano in maniera goffa un piatto di spaghetti hanno fatto il giro del mondo, diventando un simbolo di italianità. La raffigurazione del napoletano (e dell’italiano poi) che agguanta un piatto di spaghetti con le mani, ha percorso l’Europa molto prima di approdare al cinema. Esistono testimonianze scritte e iconografie raffiguranti la passione dei napoletani per il mangiare (spesso con le mani) la pasta. Siamo nel ’700, quando, al tempo dei Grand Tour, artisti e giovani benestanti ampliavano la propria cultura viaggiando per l’Europa alla scoperta della classicità greca e romana. Ne parla, per esempio, Goethe, nel libro “Viaggio in Italia” quando fa tappa a Napoli.
Ecco la testimonianza di Goethe dal suo “Viaggio in Italia”:

Quanto ai cibi a base di farina e di latte, che le nostre cuoche sanno preparare in tante maniere, la gente di qui, preferendo evitare complicazioni e non avendo cucine ben attrezzate, ricorre a due risorse: anzitutto ai maccheroni, specie di pasta cotta di farina sottile, morbida e ben lavorata, che vien foggiata in diverse forme; dappertutto se ne può acquistare d’ogni genere per pochi soldi. Si cuociono di solito in semplice acqua, e il formaggio grattugiato unge il piatto e nello stesso tempo lo condisce. […] Vendono a tutto spiano, e sono migliaia quelli che se ne vanno portandosi il necessario per il pranzo o per la cena avvolto in un brandello di carta.


Il Grand Tour di norma si concludeva a Napoli: poeti e scrittori restavano affascinati dai singolari usi e costumi partenopei. All’epoca, la pasta era cucinata per strada, bollita in grandi calderoni che serpeggiavano nei vicoletti della città; gli spaghetti erano conditi con strutto, formaggio grattugiato e talvolta un po’ di pepe. L’idea che il cibo venisse cotto in strada e mangiato con le mani, rappresentava una nota caratteristica di folklore per i giovani stranieri, da condividere una volta rientrati in patria; per questo motivo l’immagine del lazzarone che mangia gli spaghetti con le mani fece il giro d’Europa.

Ma perché ci chiamano “mangiamaccheroni”?
Prima della massiccia comparsa della pasta sulle tavole napoletane, il popolo era definito “mangiafoglie”, in quanto dedito ad un notevole consumo di verdure. Solo agli inizi del ’700, quando le abitudini alimentari cambiano e la pasta prende il posto di broccoli e broccoletti, i napoletani iniziano ed essere chiamati “mangiamaccheroni”.
In realtà, fino alla metà del ’600 una sorta di “piatto di maccheroni” già esisteva ma era riservato alla gastronomia dei ricchi e servito come dessert, a fine pasto farcito con miele e zucchero.

A Napoli, la pasta assume il ruolo di alimento prioritario solo nel ’700, quando occorreva adeguarsi alle necessità di una popolazione troppo cresciuta e grazie ad un avanzato processo tecnologico che permise la diffusione dei torchi a vite per la trafila. La pasta con la sua prerogativa di “régnere a panza” risultò una scelta vincente.
Le prime industrie di “maccarunari” sorsero ad Amalfi e Torre Annunziata. La produzione industriale fa sì che la pasta diventi piatto comune e di massa, mangiata non più con zucchero ma con formaggio.


Nel 1839, il napoletano Don Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino, codificando quello che presumibilmente era diventata un’usanza del popolino, alquanto diffusa, nella seconda edizione della sua “Cucina Teorico Pratica” propose di condire la pasta col pomodoro ed illustrò la prima ricetta del ragù.
Quindi, è solo nell’800 che la pasta incontra il pomodoro, un’intuizione vincente condivisa da tutti, tanto da rappresentare – ancora oggi- il simbolo della cucina italiana nel mondo.


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