Carmelacromìa!

I colori di Osteria da Carmela posseggono un richiamo sacro(santo) ai colori della Madonna del Carmelo, detta Madonna Bruna, con un significato preciso:
Arancio solare aureole dorate e il fondo dell'icona = santità e sacralità
Pompeiano colore rosso della tunica sotto il manto = amore
Tufo scuro tunica color pelle di pecora del bambino e pelle della Madonna = agnello di Dio, fratellanza
Verdemare manto della Madonna = fertilità
Ogni colore è un’ispirazione, una storia, una tendenza e persino, scavando nella storia di Napoli, un’origine di un piatto e accompagnerà sempre le nostre (e le vostre) parole.
E con queste cromatiche premesse, ecco a voi...


I cibi dell’osteria tipica napoletana abbinati ai vini vulcanici: un abbinamento storico ed esplosivo!

I cibi dell'osteria tipica napoletana abbinati ai vini vulcanici: un abbinamento storico ed esplosivo!

La cucina di Napoli da sempre richiama a sé gli abbinamenti con i vini prodotti da vitigni autoctoni vulcanici.

Se tutta la Campania da sempre offre grandi possibilità in termini enologici, l’areale della provincia di Napoli non è da meno, grazie a vini di assoluta riconoscibilità, dipendenti dalle caratteristiche pedoclimatiche del loro terroir d’origine. Stiamo parlando quindi di vini super-vulcanici, molto riconoscibili nella loro unicità. Nell’area vesuviana, nelle isole vulcaniche come Ischia, o nella cosiddetta area Flegrea napoletana, da secoli prosperano vitigni antichissimi, da sempre su piede franco, grazie al fatto che in queste zone la Fillossera non è mai riuscita ad attecchire proprio a causa della composizione piroclastica dei terreni.

Ebbene, nella nostra carta dei vini non potevamo non individuare delle cantine, senza alcuna pretesa di esaustività, presenti in queste tre aree enologiche vulcaniche. Partiamo dall’area occidentale di Napoli, la zona Flegrea, dai tempi antichi terra vocata alla viticoltura: per gli antichi Greci corrispondeva alla bocca dell’Ade, una zona che da sempre è conosciuta per la sua inarrestabile attività vulcanica. Fu poi sotto epoca romana che questi territori (Miseno, Cuma, Pozzuoli, Baia e Bacoli) vissero il loro più grande splendore, tanto che ancor oggi le zone sono piene di antichi anfiteatri, mercati, terme che raccontano i fasti che furono. Nella zona Flegrea, i vitigni classici sono il Piedirosso (di cui abbiamo a lungo disquisito, leggi l’articolo) e la Falangina: producono vini non di grande struttura, ma estremamente minerali, talmente versatili che possono accompagnare primi e secondi purché non siano piatti eccessivamente conditi. Nella carta di Osteria da Carmela troverete i vini delle vigne metropolitane di Cantine Astroni.

“Che bell’Isca che stace sempe carreca de vino”

canto popolare che si fa durante la vendemmia ischitana

Continuando il nostro viaggio enologico, proprio di fronte a Miseno troviamo la maestosa isola d’Ischia, la più grande delle isole partenopee che, prima della grande eruzione avvenuta 150mila anni fa, era parte integrante del territorio flegreo, e ad esso è ancora collegata, unita nei sotterranei alla sempre attiva caldera dei Campi Flegrei. Per anni è stata meta di conquiste, musa ispiratrice di intellettuali e poeti nonché pegno d’amore tra regnanti come Alfonso d’Aragona che, rimasto affascinato dall’isola, decise di donare il castello a Lucrezia D’Alagno oppure usata come pegno di guerra, quando  Ferdinando il Cattolico decise di donare l’isola a Costanza D’Avalos, che si era battuta per difendere Ischia  dall’invasione dei francesi.

Nei suoi quasi 50 km2 e grazie ai suoi terreni, il territorio vulcanico ischitano è da sempre scrigno e custode di vigneti antichi: qui tra le varietà coltivate non troverete solo Falanghina e Piedirosso, ma anche l’autoctono Biancolella e il Forastera, importato sull’isola a fine ‘800 e diventato ormai un vino ischitano DOC, riconosciuto in Italia e all’estero grazie al grande lavoro portato avanti dalle cantine ischitane.

Tra le cantine che hanno lavorato al recupero e alla promozione degli antichi vitigni come il Caprettone e il Catalanesca, rimasti assolutamente intonsi dalla furia fillosserica, possiamo citare Casa Setaro e Cantine Olivella, due tra le storiche cantine vesuviane.

È proprio il Vesuvio il luogo d’elezione in cui il vitigno a bacca bianca Caprettone per anni è stato coltivato a tendone, e per altrettanti anni è stato confuso ad un altro vitigno campano: la Coda di volpe. Una volta acclarata geneticamente la differenza sostanziale tra i due vitigni, per anni viticoltori ostinati e amanti delle proprie radici vesuviane hanno saputo restituire a questo vitigno la giusta dignità che meritava, e oggi, ad esempio, lo Spumante a base di Caprettone di Casa Setaro è uno dei must dell’area vesuviana. Alfonso I d’Aragona nel XV secolo non sapeva che il suo Catalanesca avrebbe subito un destino simile a quello del Caprettone. Usato come uva da tavola prima, oggi è un vitigno rispettato che si sta facendo spazio con forza nelle fiere enologiche nazionali ed internazionali. Gli antichi contadini cercavano di procrastinare la vendemmia del Catalanesca fino quasi a Natale; il suo grappolo caratterizzato da acini rotondeggianti, dal colore dorato e dalla polpa dolce e croccante;  è grazie all’alto residuo zuccherino che il grappolo può restare per molto tempo attaccato alla pianta madre, conseguendo una perfetta maturazione. Oggi si coltiva soprattutto a Somma Vesuviana, Sant’Anastasia, Ottaviano e negli altri comuni vesuviani. Solo dal 2006 questo vitigno è stato aggiunto all’elenco delle uve da vino.

Passiamo adesso agli abbinamenti culinari invernali, ed ecco cosa vi propone la nostra osteria napoletana cinquantenaria.

Partiamo subito con un bel antipasto: il Cuppetiello di alici fritte lo abbiamo abbinato ad un flûte di Spumante Caprettone di Casa Setaro. Il Caprettone Spumante metodo Classico riesce a ripulire la bocca, senza eliminare il sapore delle alici, ma sgrassando con generosità l’untuosità della loro frittura. Se non volete optare per una frittura, vi consigliamo come antipasto una zappetta di mare, su cui potremmo anche abbinare anche un altro vino, ma bianco e fermo, e abbiamo pensato a Strione, Falanghina dei Campi Flegrei della vigna Cru Colle Imperatrice di Cantine Astroni. Al gusto secco, caldo e morbido, persistente, la cui freschezza e sapidità bilanciano i frutti di mare della zuppa.

Dopo questi antipasti, potremmo optare per un primo di pesce, come ad esempio una Calamarata allo Scoglio da abbinare con il  Biancolella di Cantine Mazzella oppure con il Forastera prodotto dalla stessa cantina. Mentre il Forastera si presenta all’occhio con un colore giallo paglierino, più o meno intenso, ha i sentori delicati e al palato risulta secco e armonico, il Biancolella ha un maggiore bouquet fruttato, dalle piacevoli note agrumate e frutta a polpa gialla, mandorla e leggero sentore di spezie. Al palato si presenta sapido e minerale, insomma un vino perfetto per un primo di pesce.

Ai vini vesuviani invece dedichiamo la seconda parte del pasto. In abbinamento ad una spigola al forno con limone potrebbe ad esempio calzare a pennello un Lacrimabianco Lacrima Christi di Cantine Olivella. Note floreali, accompagnate da sentori e sentori fruttati di mela cotogna, ananas e pesche gialle. Al gusto si presenta di buon corpo e persistente, per regalare una perfetta armonia alla degustazione del secondo di pesce.
Se non volete optare per il pesce, vi consigliamo di abbinare ad una buona mozzarella di bufala Katà la Catalanesca realizzata da Cantine Olivella. Freschezza, buona mineralità e sapidità, sono i tre giusti elementi per accompagnare con armonia il consumo di un ingrediente tutto campano come la mozzarella.
Vi abbiamo fatto salire un po’ di acquolina in gola? Allora passateci a trovare.

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