I Retaggi della Cucina Greco-Romana nella Tradizione Napoletana
Napoli affonda le radici della propria tradizione culinaria nel fertile sub-strato greco-romano
Tante sono le tracce che testimoniano le abitudini culinarie che hanno influenzato la cucina napoletana: affreschi, monili e cibo carbonizzato perfettamente conservato sono la prova che la cucina partenopea ha origine lontane. Diversi piatti, così come gli affreschi, di fattura greca raffigurano pesci e molluschi testimoniano il consumo di piatti di mare in quell’epoca. Non mancano affreschi pompeiani raffiguranti cesti di frutta come fichi e melograni e dipinti che ritraggono antichi ‘dessert’ come quello situato nella villa di Poppea ad Oplontis, definito la ‘Cassata di Oplontis’.
Quando si parla di scavi archeologici di Oplontis si intende una serie di ritrovamenti archeologici appartenenti alla zona suburbana pompeiana seppellita insieme a Pompei, Ercolano e Stabiae dopo
l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Oggi l’area archeologica è situata nel centro della moderna città di Torre Annunziata, il sito archeologico si snoda intorno ala celebre ‘Villa di Poppea’.
Tra le decorazioni più suggestive emergono una graziosa natura morta rappresentante un cesto con fichi, un cestino di frutta coperto da un velo semitrasparente, una coppa di vetro contenente melograni. In un affresco di un triclinio della Villa è raffigurato un dolce dalla incredibile somiglianza alla moderna cassata.
Si può far probabilmente risalire al garum romano la colatura d’alici tipica di Cetara, forse rappresenta una reminiscenza del gusto agrodolce gradito agli antichi romani, un retaggio che spiegherebbe la presenza di uva passa in piatti celebri della tradizione napoletana come la pizza di scarole o le braciole al ragù. Dal latino, potrebbe provenire il termine scapece, un modo tipico di preparare le zucchine con aceto e menta. Anche l’impiego del grano nella pastiera, potrebbe avere un valore simbolico legato ai riti pagani di fertilità celebrati nel periodo dell’equinozio di primavera. Infatti, dal vocabolo greco stróngylos, che significa “di forma tondeggiante” prendono il nome gli struffoli natalizi. Lo stesso nome della pizza, infine, deriva probabilmente da pinsa, participio passato del verbo latino pinsere, che vuol dire schiacciare.
Dai reperti di cibo carbonizzato si comprende che l’alimentazione dei pompeiani era a base di verdura, frutta e di pane. La frutta e la verdura venivano vendute in gran quantità nelle botteghe insieme all’olio.
Tra le specialità dei pompeiani c’era un particolare tipo di cavolo. Plinio il Vecchio classificò circa 1000 piante commestibili, come, lattuga, cicoria, cipolle e aglio, broccoli di rapa, basilico, carote, crescione, porri, meloni, piselli, ceci, lenticchie, noci, nocciole, mandorle, e diversi tipi di frutta fresca: mele, melograni, cotogne, pere, uva, fichi e prugne. Gli ortaggi venivano conservati per l’inverno in salamoia o in aceto, mentre la frutta si essiccava e si immergeva nel miele. Quanto al pane, era diffuso già nel II secolo a.C. Esso era costituito da frumento e orzo.
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