Dalla Norvegia a Napoli, lo stocco un ingrediente immancabile nella cucina partenopea
Dalla Norvergia a Napoli, passando per la Venezia dei Doge, lo Stoccafisso è diventato un ingrediente storico della cucina tradizionale napoletana
La storia della diffusione del merluzzo nella nostra cucina è curiosa e risale al 1432. In quell’anno Pietro Querini, un nobile veneziano, con la sua nave carica di mercanzie e diretta verso i porti della Lega Anseatica, fece naufragio nei mari del Nord. Si trovò sulle isole Lofoten, nel Nord della Norvegia, dove vide pesci “di incomparabile quantità, chiamati stocfisi“. Così, tornò in patria con un carico di “stocfisi“, ma ebbe dei problemi per smaltirlo, in quanto questo pesce era totalmente sconosciuto agli abitanti del Mediterraneo.
Il termine stocco o stoccafisso viene quindi dall’unione di due parole: Stoch, che significa bastone, e fish che significa pesce, quindi duro come un bastone. Il termine “baccalà” invece è di origine fiamminga e si intende un merluzzo trattato con il sale ed essiccato all’aria, mentre lo stoccafisso viene semplicemente essiccato al sole e al vento.
Ma come è giunto dall’antica Norvegia sino alle tavole dei golosi napoletani?
La presenza dello stocco nella cucina napoletana è legata alla tradizione cattolica del popolo napoletano e alla posizione geografica della città di Napoli. La diffusione dello stocco in tutta Italia fu aiutata inaspettatamente dal Concilio di Trento, quando la Chiesa impose dettami rigorosi per digiuni, astinenze, abitudini alimentari morigerate, tra cui, per l’appunto, mangiare il pesce. Non meno importante, aggiungiamo che nei conventi, luoghi in cui all’epoca si faceva molta sperimentazione culinaria, seppero far miracoli con lo stocco, insaporendolo con erbe e prodotti mediterranei e trasformando così la monotonia della cucina nordica in prelibatezze nostrane.
Un altro elemento che ha permesso la diffusione dello stocco è la posizione geografica della nostra città, che da sempre ha permesso a Napoli di trarre i massimi benefici dall’incontro con altri popoli e culture. Quindi in sintesi, grazie alla sua elevata capacità di conservazione, al bene placito della Chiesa e alla posizione strategica portuale di Amalfi (allora ex Repubblica Marinara) e Napoli, il merluzzo invase le tavole partenopee con molta facilità. C’è inoltre da aggiungere un altro piccolo particolare:
sebbene infatti oggi lo stocco e il baccalà siano presenti nei menù più blasonati, nel passato lo stocco veniva chiamato “il manzo dei poveri”, questo perché ha un alto apporto proteico, non ha praticamente grassi e ha invece un buon apporto di omega-3, un acido grasso essenziale per il corretto funzionamento dell’organismo.
Dopo questo escursus storico, vi lasciamo con la ricetta di Osteria da Carmela di stocco e patate. Bon appetit!
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